I Dischi Dell'Anno di polaroid

Nelle stesse ore in cui Pitchfork pubblica il suo "year-end feature", quelli di polaroid già in clima natalizio vi regalano la loro impaziente e duplice classifica (stereofonica!), in attesa di scrollarsi di dosso consuntivi e stelle filanti, e sperando che a gennaio si possa ritornare in radio.
Un brindisi, prego.

(entrando, sulla sinistra, La Laura. Di conseguenza, Enzo):


10. Nina Nastasia, Run to ruin (Southern Records)
«Talking cake crumbs move toward the edges of your mouth and fleck off in all directions all i see: flying bits. I begin to count them».
Lei è, a suo modo, un genio.

9. Deerhof, Apple o’ (Kill Rock Star)
Si rimanda all'inconfutabile playlist di Davide.

8. Califone, Quicksand/Crandlesnakes (Thrill Jockey)
C'è solo Ben Massarella! E un video di struggente amore per l'archeologia industriale! E Francis, ovvero della nonna e dell'orso.

7. Damien Jurado, Where shall you take me? (Secretly Canadian)
Perchè Control di Pedro the Lion è dell'anno scorso.

6. Libby Kirkpatrick, Goodnight Venus (Heart music)
Che di cantautrici, niente che mi soddisfacesse. Eppoi lei non la conosce nessuno. E' un po' come fosse il mio asso nella manica.
Adorabile per me, decisamente inutile per il resto del mondo.

5. Bonnie Prince Billy, Master & everyone (Dragcity)
Ochei, il fatto di ballare era tipo uno scherzo. Nella mia stanza solo "the way", che di fatto io sono un tipo allegro ma non troppo.
Che poi sta a dire: Love me the way I love u.

4. Hot hot heat, Make up the breakdown (Sub Pop)
Il mio riempipista. Così, per aggirare l'annosa querelle Strokes, White Stripes.
Che forse in Canada non si balla nel 2003 (vabbè 2002)?

3. Postal Service, Give up (Sub Pop)
Translanticism l'ho ascoltato troppo poco (anche se di sicuro era più fico). E perchè la prima volta che senti Such great heights, d'istinto le accordi tutta la fiducia che merita (o di più) fino alla fine dell'anno. Il resto è sua conseguenza.

2. Pernice Brothers, Yours, mine & ours (Ashmont)
Per The Weakest Shade of Blue, anche, che sembra Olympian dei Gene. Il numero uno, fosse stato il novantacinque.

1. Daniel Johnston, Fear yourself (Gammon)
Perchè è il disco più bello dell'anno. Tautologico? Allora eccovi l'ossimoro: il disco d'amore più indie. Cosa domandare in più?

10. Pulseprogramming, Tulsa for one second (Aesthetics)
La prima promessa mantenuta del 2003 (con e senza l'adorabile Lindsay Anderson). Come recitava il frenetico video durante il loro concerto, "it was an intense year".

9. The Hidden Cameras, The Smell of Our Own (Rough Trade)
Ovvero sesso in musica, con molta poesia, ancor più divertimento, e senza un briciolo di malinconia. Finalmente.

8. AAVV. - Everything is ending here - A tribute to The Pavement (Homesleep)
Perché proprio non era possibile scegliere uno solo tra gli ultimi dischi di Yuppie Flu, Julie's Haircut, Giardini di Mirò e Fuck. Quindi riconoscimento collettivo all'etichetta degli "indierock warriorz" per la compilation dedicata a uno dei gruppi da sempre nel nostro cuore.

7. Daniel Johnston, Fear yourself (Gammon)
Per la ragazza più bella del mondo a cui tenta di non pensare, per quel finale sguaiato che ti lascia con la pelle d'oca, e perché Arturo quando mi ha passato il disco non credeva che mi sarebbe mai piaciuto.

6. The Strokes, Room on fire (Bmg)
Perché con loro mi diverto, tutto qui.

5. Pernice Brothers Yours, mine and ours (Ashmont)
Alla fine è diventato il mio disco dell'estate, anche se è strano associare a una stagione precisa un disco così classico e senza tempo come questo.

4. The Postal Service, Give up (Sub Pop)
Perché dal primo momento sapevamo che sarebbe stato tra i migliori dell'anno, perché non sapevamo che Rossano ci aveva fatto una promessa, perché sapevamo che da allora avremmo sempre ballato Such great heights al Covo.

3. Belle & Sebastian, Dear Catastrophe Waitress (Rough Trade)
Proprio quando temevo il peggio, i nostri amati scozzesi agguantano il podio grazie a uno sprint negli ultimi metri.

2. Broken Social Scene, You forgot it in people (Mercury)
Sì, c'è l'escamotage per averli tra i dischi del 2003, ma è un'opera talmente ricca e monumentale che tanto la ritroveremo anche nelle classifiche del decennio.

1. The Radio Dept., Lesser matters (Labrador)
Perché un innamoramento così a prima vista non mi capitava da un sacco di tempo, e certi entusiasmi bisogna premiarli e goderseli come meritano.
Nonostante sappia che già l'anno prossimo se li ricorderanno in pochi, il mio titolo di Disco Dell'Anno 2003 va a loro, con tutto l'affetto e la sincerità, le uniche cose che contano in una classifica di dischi su un blog.

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