Thank you for the music (9)
Una polaroid di musica in nice price

My Bloody Valentine - 'Loveless'Quasi mi dimenticavo. L'ultima rubrica dell'anno scorso (parecchio tempo fa, causa radio occupata da consigli comunali coi sensi di colpa) era prevedibilmente dedicata ai My Bloody Valentine, vuoi per la colonna sonora di Lost in translation, vuoi per il nostro essere malati di "radiodept.ismo", vuoi per il nostro pigro zeitgeist drifting.

Il fatto che lo "scomparso" (ma per nulla inattivo) Kevin Shields avesse dato alla luce quattro nuove tracce (per un totale di circa otto minuti di musica...) aveva regalato un sorriso a molti. Lo stesso sorriso beato e malinconico che ci prendeva ogni volta che ci lasciavamo cullare all'infinito da Sometimes senza trovare quiete.
Ma l'elusività, mi pare, è sempre stata una delle caratteristiche dei MBV: anche a parlarci non è che si ottenesse poi tanto, spesso le risposte delle interviste scartavano quando non te l'aspettavi, non arrivavano quasi mai al punto.

Anche la musica dei MBV si può definire in un certo senso "elusiva", perché se il gioco è pur sempre quello del feedback e dei riverberi, non si limita a creare una linea melodica e poi ad allestire un fondale rumoroso. Cresce in circolo, procede addensandosi, fino a tessere un suono equilibrato ma in ebollizione, in cui "tutto si mescola", si tiene stretto, ed emoziona senza mostrare direttamente cosa ci colpisce.
A qualcuno Loveless sembrava un disco con i canti delle balene, altri non sopportavano la presenza di voci e "l'assenza" di parole comprensibili, altri ancora non resistevano al sonno.

In un certo senso avevano tutti ragione. Kevin Shields usava spesso le espressioni "musica pura", "suono nello spazio" ecc. I MBV erano uno dei gruppi preferiti di Brian Eno. Una volta prolungarono il rumoroso finale di un concerto per oltre 40 minuti, finché metà della sala si svuotò. "Dovevamo provarlo: è meglio quando dura così tanto. Solo in questo modo funziona. Dopo un po' perdi ogni prospettiva".
Ed è a quel punto, suggerì l'amico J Mascis, che "cominci a vedere qualcosa".

Le voci (anche quella angelica di Bilinda Butcher) scompaiono nell'amalgama dei suoni, ma mai del tutto. Persistono in maniera irregolare, tornano a galla quando la canzone trova un'altra svolta e sferza di nuovo. Spesso si intrecciano in impossibili scambi, si attraversano, sono voci trasparenti di fantasmi.
L'effetto di impalpabilità dei sogni era ricercato da Shields in molti modi: vuole la leggenda che costringesse Bilinda (compagna anche nella vita, almeno per un certo tempo) ad addormentarsi nello studio di registrazione, per poi svegliarla all'improvviso e farla cantare quando non era ancora del tutto cosciente.

Loveless è un disco che affascina ancora oggi. E' un'opera con cui ci si confronta a fatica. Difficilmente si lascia scomporre per ascoltarne questa o quella canzone (anche se ha le sue "hit"). A me capita di non ascoltarlo per molto tempo, di non avere voglia di ascoltarlo per molto tempo. Ma quando scorro lo sguardo sul ripiano dei cd lo vedo: il suo rosa violento è sempre lì. Ogni tanto ci ritroviamo e sogniamo un po'.

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