‘A Micio, dacce er martellone
Mice Parade live in Bologna, 14 maggio 2004

Questi ultimi concerti della stagione al Covo mi piacciono sempre molto, tranquilli, nelle sale già semivuote, dove quelle trenta persone e almeno la metà blog parlano senza fretta, e dove musicisti e giornalisti si abbeverano fianco a fianco con serenità.
Anche i ragazzi del locale sono, nonostante tutto, più rilassati: ieri sera dietro il bancone del bar, cosa mai vista, Max ballava un pezzo dei Gene che l’Uomo Dell’Anno stava suonando prima dell’inizio del concerto. Daniele aveva addirittura il tempo di stare ad ascoltare le prime canzoni insieme a Sean (Quickspace), e le bariste più carine del solito non lesinavano quel sorso di rum aggiuntivo che dà morale alla squadra già sazia di risultati.

La musica è quella dei Mice Parade, che arrivati di corsa dal pomeriggio di Cannes e con la polizia alle costole si erano precipitati ad affollare di strumenti il piccolo palco (ma niente laptop) e avevano lasciato un chitarrista di guardia, armato di Saudade e Portogallo.
Quando l’anagramma di Adam Pierce ha cominciato a suonare è stato subito tutto un rincorrersi lungo la scala a chiocciola del vibrafono, mentre scivolavano giù per la ringhiera gli arpeggi delle due chitarre, e il tastierista con la maglia degli HiM faceva gli scalini a due alla volta. Un volume della All Music Guide cadeva e si apriva alla voce S: forse Stereolab, forse Seefel.

Nota a margine: nonostante la signorina Valtysdottir e i suoi Múm fossero a Ferrara la sera prima, a Bologna non è andato in onda l’auspicato Carramba Che Sorpresa, e così la voce in “Two Three Fall”, a differenza dell’album, è stata affidata alla seconda tastierista che da lontano sembrava giapponese e che stava seduta sullo sgabello a fumare. Non sono nemmeno tanto sicuro che la canzone fosse “Two Three Fall”.

Mancava il basso (quanti gruppi abbiamo già visto negli ultimi due tre anni senza basso?) ma diciamo che nella sezione ritmica l’uomo dietro la batteria (forse lo stesso Doug Scharin?) non lasciava spazio per nessun altro.
Tecnicamente monumentale per quindici venti minuti nel sostenere il crescendo continuo che è l’essenza del post rock equo solidale dei Mice Parade (quando decidono di darsi una mossa), in seguito ha po’ sfrangiato tutti, continuando a spazzolare frazioni di semibiscrome, sussulti prolissi rilevabili praticamente solo da un sismografo.
Quando un tempo sincopato si frantuma e si contrae in mille altri, senza risolversi mai (va bene il crescendo, ma poi quando le cose lievitano devi metterle in forno), a un certo punto non reggi più e ti viene proprio voglia di un bel pezzone con dentro la cassa dritta in quattro. Eccheccazzo Micio: ogni tanto, dacce er martellone!

Tutto ciò porta inevitabilmente ai bonghi.
Perché sì, belle anche le percussioni nei Mice Parade, quegli squarci totalmente liberi dentro una musica che a momenti pare proprio organizzata per condurre alla trance.
Però dopo una maratona di percussioni che neanche a un afro raduno, pure Lucio ha dato segni di cedimento e si è lasciato andare al commento migliore della serata: “Tra i Tortoise e il Collettivo SoleLuna”.

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