The Pop Group


Prima di leggere Post-punk di Simon Reynolds l'unica cosa che conoscevo del Pop Group era quella We Are All Prostitutes contenuta nel primo cd di Rough Trade Shops - Post Punk Vol.1. Stava alla perfezione in un dj set tra i Rapture e i ChkChkChk (nonostante i 25 anni di differenza) e non mi ero mai preoccupato di approfondire troppo.
Poi Reynolds ha raccontato bene l'incredibile commistione di influenze, stili e istanze sociali che i giovanissimi Mark Stewart e compagni stavano cercando di tenere insieme. Ciò che emergeva era "una sorta di musica di protesta dionisiaca, un marasma di suoni contorti e versi immaginifici che scioglieva le barriere artificiali fra politica e poesia, lussuria e spiritualità". Alla rabbia contro la repressione e il consumismo faceva eco la ricerca sonora tra punk, dub e sperimentazione rumorosa. Una combinazione dirompente pronta a esplodere e a impressionare ancora oggi, quando si vanno a rileggere i documenti d'epoca. Recuperai presto Y e il successivo For How Much Longer Do We Tolerate Mass Murder?, roba per me ostica ma, dovevo ammettere, di una forza sconvolgente.
Ora il Pop Group ha deciso di riformarsi ed è anche al lavoro su un nuovo album. Come è stato notato, in maniera paradossale le idee che portavano avanti sia a livello musicale che politico oggi sono (ancora? di nuovo?) valide come allora. Resta da vedere se sul palco il quartetto reggerà l'impatto fisico delle sue stesse canzoni. Questa sera, ore 21, appuntamento (storico) al Locomotiv Club di Via Serlio 25.

>>>(mp3): The Pop Group - We Are All Prostitutes

Commenti